Chi vuol esser finanziato?

Con le indagini emerse dalle procure sui bilanci di Margherita e Lega e le accuse ai loro rispettivi tesorieri (Lusi e Belsito) siamo tornati a parlare dei finanziamenti pubblici ai partiti: secondo Idv e parte del Pd (tra cui compare anche il mio amico Renzi) andrebbe abolito per intero rispettando così il verdetto del referendum abrogativo del '93 poi ovviamente aggirato dal parlamento del tempo; secondo i vertici di Pdl, Pd e Terzo Polo basta rivedere la normativa vigente regolamentando controlli dei bilanci e trasparenza delle spese. In questo senso è già stato preparato un disegno di legge che nelle prossime settimane verrà discusso nelle camere e, se non ci saranno intoppi, anche approvato in breve tempo. 


Ora la domanda che molti sollevano: è giusto che siano lo Stato a finanziare i partiti? Gli italiani nel '93 hanno già risposta: un NO che conta il 90,3 % degli allora aventi diritto al voto. Personalmente, però, non sono d'accordo con questa linea di pensiero.



Il finanziamento pubblico ai partiti, anche se sotto forma di rimborso elettorale nel nostro caso, nasce come strumento di tutela del pluralismo, in quanto permette anche a chi non dispone di risorse economiche proprie consistenti di creare un partito e "" come sancisce l'art. 49 della nostra Costituzione. Senza questo tipo di pratica finiremmo con sistema di finanziamenti privati simile a quello negli USA: i partiti ricevono finanziamenti esclusivamente dai sostenitori privati, i quali però richiedono in cambio trattamenti di favore tramite politiche di un certo tipo una volta che il finanziato viene eletto. In questo quadro accade spesso che grandi gruppi di interesse, che siano lobby, grandi imprese industriali o bancarie, finanzino la campagna elettorale di più candidati, in modo tale da garantirsi in ogni caso un ritorno positivo. Una cosa del genere porterebbe risultati disastrosi in Italia, vista la facilità con cui da sempre la nostra politica instaura rapporti clientelari e di favore con i gruppi più influenti che operano nel nostro Paese (fra i quali sono comprese anche associazioni criminali). 


Ritengo quindi che il finanziamento pubblico, col il divieto di ricevere finanziamenti privati come prevede l'attuale legislazione, sia la pratica più applicabile ed efficace per l'Italia di oggi. Vanno certo cambiate le regole di distribuzione e intensificare i controlli sulle spese, visto che si tratta di soldi pubblici sborsati dai contribuenti, ma in linea di principio deve sopravvivere questa pratica. 


In passato, discutendo con dei miei colleghi universitari sull'argomento abbiamo elaborato questa particolare formula: si potrebbe prevedere un finanziamento ai partiti solo in fase pre-elettorale con una tantum uguale per tutti (in cambio di garanzie reali da parte dei responsabili dei partiti) in modo tale da poter dare le stesse possibilità di partenza a tutti; si potrebbe permettere poi si accumulare altri fondi attraverso l'iscrizione dei militanti allo partito stesso. Così l'iscrizione al partito tornerebbe ad essere una variabile considerabile e l'elettore tornerebbe ad assumere un ruolo più centrale per la vita del partito stesso. 


Queste probabilmente sono solo chiacchere da bar (pardon da blog), ma fare proposte non costa niente. È l'immobilità generale che ci sta costando. Anche molto più di quanto un qualunque tesoriere potrebbe mai intascarsi indebitamente.

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